venerdì 20 febbraio 2015

BEIJINHOS DE LISBOA



Amleto si poneva domande esistenziali parlando con un teschio.

Non avendo la possibilità di trovare un cranio in maniera legale a buon mercato (forse su Ebay? non ho guardato), le domande esistenziali le pongo a voi, fortunatissimi che leggete questo blog.
Il quesito in oggetto è: come comportarsi con chi appare dopo un lungo periodo in cui ci si è persi di vista e vuole incontrarvi?

Le scuole di pensiero sono quattro:

I MA NON CI PENSO PROPRIO: di natura piuttosto schiva, le persone che seguono questa visione del mondo vivono la ricomparsa di antiche amicizie e/o amori con la stessa serenità con cui accoglierebbero il ritorno dei morti viventi di Romero. Quando vengono rintracciati, si chiudono a riccio finché la controparte demorde e batte in ritirata, stremata da tanto silenzio.


Gli ENTUSIASTI. Quelli che ci credono davvero, convinti che ciò che è stato in passato sia rimasto inalterato anche nel presente. Spesso sono quelli che organizzano raduni e incontri. Ad ogni passaggio di decennio (cena dei 30 anni, cena dei 40 anni ecc) stanno sempre a capotavola.

I CONFLITTUALI. Non avrebbero tanta voglia, però sono curiosi. Prima dicono sì, poi no, poi vediamo, poi Ok, chiedono chi c’è e chi non c’è,  alla fine disdicono e poi si presentano a sorpresa. Per poi pentirsi.

I COMPETITIVI.  Non vedono l’ora di sbandierare tutto ciò che secondo loro è indice di successo nella vita (lavoro, studi, soldi e via discorrendo). Alla prima innocente domanda “Cosa fai di bello nella vita?”, sbranano l’interlocutore a colpi di trionfi (o presunti tali) e lo bloccano fino all’arrivo del dolce, quando il malcapitato tenta di darsi fuoco con l’accendifiamma che portano insieme alla crème brulée.

Io ero un'entusiasta, ora sono passata tra i conflittuali. Diciamo che faccio selezione, ecco. Inoltre l'esperienza mi ha insegnato che non tutto ciò che è stato rimane uguale nel tempo, anche se l’apparenza può ingannare.

Questa lezione di vita l’ho imparata a Lisbona. Metti che ti contatta un vecchio amico conosciuto anni prima e mai più visto. Inizialmente c’è dell’indecisione (categoria numero 3: fase conflittuale). Lui ti invita a casa sua, perché ha organizzato una cena e saranno presenti altre persone. Metti che quella sera non hai di meglio da fare e il fado ti deprime, ed ecco che ti ritrovi su un taxi a chiedere di essere portata in Rua de Jairzinho Tostão de Cacao Meravigliao (categoria numero 4: entusiasmo e ottimismo a volontà).
Era una luminosa serata quando, con le luci del tramonto, mi accingevo ad andare a cena dal mio amico, che chiameremo convenzionalmente Erasmus (poi capirete il perché).
Lisbona è una città meravigliosa, ma se il tassista guida solo usando due marce, la prima per partire e la quinta per tutto il resto, sembrerà di essere su un ottovolante urbano. Dopo vari saliscendi e due mancati tamponamenti, l’autista si ferma e inizia a consultare uno stradario. Stavo per aiutarlo e cercare su Google Maps, quando lo sento esclamare “Eurekao! Eu finalmente capitao onde està rua maledettao”  (non ha detto questo, per comodità riporto ciò che ho compreso).  Riparte in picchiata, tanto che ho pensato che saremmo decollati e atterrati sul famoso tram giallo n° 28, che transitava nei paraggi. Dopo altri giri, il tassista inchioda e dice “chegamos ao destino, siamo arrivati”.

Guardo fuori dal finestrino. Ormai è buio e il vicolo che vedo davanti è privo di luce. Guardando dall’oblò della Stazione Spaziale Internazionale verso il cosmo infinito, credo si abbia la stessa sensazione di vuoto e di oscurità. L’uomo al volante comprende il mio smarrimento e mi dice che mi porterà dall’altro ingresso della strada, a nord, perché forse c’è più luce.
Effettivamente da quella parte ci sono due lampioni dalla luce giallo bile, che consentono una minima visibilità.  Mi faccio coraggio: esco dal taxi, e con un rapido scatto (Bolt, devi venire ad allenarti a Lisbona, dammi retta) evito due pusher, suono il campanello del portone e appena si apre mi fiondo al secondo piano.

Il mio primo pensiero sarebbe stato di dire al mio amico “ma dove cavolo vivi??” ma la mia buona educazione me lo avrebbe impedito. Comunque alla fine tutto ciò non mi ha nemmeno sfiorato, perché appare Erasmus: è identico a come lo ricordavo. Faccio appena in tempo a pensare “ma come ha fatto?” che entrando in casa trovo la risposta.

Egli vive sospeso nel tempo, più precisamente negli anni dell’Università. Anche se la maturità anagrafica dovrebbe averlo già contaminato, vive come se dovesse studiare fuorisede in eterno. Un materasso sulla parete, scatoloni aperti dovunque, un tavolo pieno di sigarette, libri, portacenere, medicine, bicchieri e vari tipi di alcolici. Il pavimento è semplicemente la continuazione del tavolo, ma su un livello più basso. Per fare qualunque tragitto, bisogna affrontare un percorso ad ostacoli. L’eterno studente Erasmus: ha la foto del libretto universitario che invecchia per lui.

Gli altri invitati alla cena sono un colossale rasta dalla testa enorme con il classico berretto multicolore, che visto di schiena ho scambiato per un fungo vivente. Ci sono anche due ragazze, che chiamerò Fatima e Lourdes, perché non mi ricordo i loro nomi. Vestite uguali di nero con un completo maglia e gonna, sembravano due vedove gemelle dietro al feretro.

La serata prosegue: si chiacchiera amabilmente, per fortuna tutti parlano inglese e così mi sento coinvolta nella conversazione, perché di portoghese non capisco niente. L’amico Erasmus mi racconta la sua vita e la sua attività, anche piuttosto di successo, senza la minima spocchia dei competitivi (categoria 4 di cui sopra).

Il rasta nel frattempo dice “manca il pane, vado a prepararlo”. Cerco di contenere il mio stupore (a voi è capitato di andare in una cena in cui un gigante ve lo impasta e lo cucina?) mentre lui si mette all’opera con farina e acqua.

Dopo una mezz’ora, ci mettiamo a tavola. Erasmus ha preparato in mio onore le lasagne con il ragù bolognese. Arriva il pane: è una versione di pane azzimo, non lievitato, servito con una non ben identificata salsa mediorientale che apprezzo particolarmente. Ad un certo punto, sento qualcosa che non va. Cerco di non darlo a vedere e prendo un tovagliolo di carta per sputare con la massima discrezione pane, salsa e ... capelli. Tanti capelli.  

Non so se erano nella salsa o nel pane, ma mi passa la voglia di mangiare entrambi. Butto un occhio in cucina e lo riprendo subito: se entrassero lì dentro i NAS, non la chiuderebbero, lancerebbero direttamente il napalm. Nel frattempo la lasagna è stata riscaldata e mi tocca assaggiarla dato che è stata cucinata apposta per me. Ha un gusto un po' strano. Chiedo a Erasmus “chi ti ha dato la ricetta? C’è un sapore che non riesco ad identificare”. Prudentemente ho chiesto una mini porzione, anche se in realtà avevo saltato pranzo e sentivo il leone della Metro Goldwyn Mayer ruggirmi nello stomaco.

Erasmus dice che è un segreto rivelatogli dalla nonna di un suo amico italiano e che non può renderlo noto a nessuno. Alla fine, vista la mia insistenza, svela l’arcano: quel "non so che" è il risultato che si ottiene quando si prepara il ragù tre giorni prima. Non riesco a trattenermi e gli chiedo “lo lasci in frigo così tanto tempo?” e lui “ ma no, il trucco è proprio questo: tenerlo a temperatura ambiente”.

Ormai vedo in anteprima il film che si proietterà stanotte in camera mia: io abbracciata al bianco trono di ceramica in bagno che svuoto l’anima, insieme a pane non lievitato e ragù fermentato. Mi viene da sorridere, anche se probabilmente è una paresi dovuta alle tossine appena ingerite, ma sono rassegnata al mio destino.

Com’è andata a finire? Che mi sono buttata sull’alcool: non so se ha fatto fuori qualche batterio, sicuramente ha ammazzato il mio appetito.

Aspettando il taxi per tornare in albergo, riflettevo sul fatto che talvolta alcune persone è meglio ricordarle com'erano una volta. Cristallizzare un ricordo. Se il tempo passato è troppo, alla fine non si riconosce più la persona che abbiamo conosciuto in quella che abbiamo di fronte.

Un rumore di freni mi distoglie dai miei pensieri. Il taxi è arrivato: è lo stesso dell’andata.  Il mio stomaco sussulta al pensiero delle montagne russe che lo aspettano.

Dico al tassista “mi porti a Rossio” e abbasso il finestrino per respirare la fresca aria della notte.

Baci da Lisbona para todos

5 commenti:

  1. :D :D :D
    eh sì...meglio il ricordo...decisamente!

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  2. Sai che ti ricorderò senza pietà questa frase in caso di emergenza?
    Mi autorizzi , vero?

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  3. Eri tu che avevi voglia di lasagne l'altro giorno? Ti è passata, vero? :) :)

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Hai uno stomaco forte...io avrei rigettato anche l'anima appena visti i capelli!!! :P

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