giovedì 16 luglio 2015

VIA CON VENTO A NEW YORK

“La visibilità è buona: 25 miglia”.
Così ci aveva rassicurato l’addetto alla biglietteria dell’Empire State Building.

Erano gli ultimi giorni di aprile, ero con il gruppo da un paio di giorni a New York e stavamo aspettando il momento giusto per vedere finalmente The Big Apple dall’alto.
L’unica cosa che non mi convinceva era il fatto che c’era pochissima coda. Eppure era quasi l’ora del tramonto, quindi si sarebbe visto quel magico momento dell’imbrunire in cui il sole scompare all’orizzonte e le luci iniziano ad accendersi in città, insomma uno di quegli istanti che il turista non vuole perdersi. 

Arrivati in alto, vediamo New York come l’abbiamo sempre vista in TV e al cinema. Uno strano effetto di déjà vu colpisce un po’ tutti. Poco dopo tutti veniamo colpiti da qualcos’altro, molto più duramente: girato l’angolo c’è una corrente gelida che probabilmente arriva direttamente dalla Groenlandia, alcuni giurano di aver sentito l’eco di antichi canti Inuit portati dal vento.
Imperterriti e incuranti del freddo, aspettiamo il tramonto. Dopo aver scattato circa  diecimila foto ricordo, decidiamo di scendere. La vista dall’alto è in ogni caso impagabile.

A cena decidiamo il programma della serata. Per la mia gioia ho parecchi partecipanti che amano la musica: la sera prima eravamo andati al Cafè Wha?” storico locale in cui hanno suonato Janis Joplin e Jimi Hendrix, quella sera decidiamo di andare a sentire jazz all’ “Arthur’s Tavern” altro locale storico di NY. Stasera canta una certa Sweet Georgia Brown. Se la serata rock si era conclusa con abbondanti drink e molta allegria, quella che avevamo appena cominciato si avviava ad essere molto movimentata. 

L’Arthur’s Tavern è un piccolo bar con pannelli in legno su Grove Street, nel West Village. Ovunque c’è qualcosa che ti sembra di aver già vissuto o probabilmente visto al cinema. Tra di noi non ci sono esperti di musica jazz, ma ci siamo detti “se non sentiamo del buon jazz qui a New York, dove potremmo sentirlo?”. La risposta è New Orleans, patria del jazz, ma visto che eravamo a New York abbiamo deciso che quello era il posto giusto. Quando arriviamo, prestissimo, non c’è praticamente nessuno. Sta suonando un quartetto jazz guidato da una giovane donna giapponese di nome Eri Yamamoto. Onestamente nessuno rimane impressionato. Quando finiscono, gli addetti smontano gli strumenti e cambiano la disposizione dei tavoli.

Mentre guardiamo il pittoresco arredamento del locale, tutto improntato alle memorabilia del passato (sbiadite gigantografie della vecchia New York, recensioni di concerti del 1958, e uno strano cartello  “No dancing”) entra, lenta come una nave nel porto, la signora Sweet Georgia Brown.
Ms Brown è una donna di colore, di età indefinibile e rilevabile credo solo dopo un esame con il carbonio 14, che avanza maestosa tra i tavoli (ecco perché li avevano spostati prima, altrimenti Georgia non avrebbe potuto fare il suo ingresso trionfale). Indossa un vestito nero su cui brillano lustrini e pailettes, in numero non inferiore alle stelle presenti nella Via Lattea.
Sweet Georgia Brown è in realtà il titolo di un brano classico del jazz scritto nel 1927, suonato anche da Louis Armstrong. Non a caso, la voluminosa signora si è scelta un nome d’arte che era già famoso e lei in qualche modo approfitta della popolarità.
Quando inizia a cantare, rimaniamo tutti ammaliati. Ha una voce calda, roca e potente. Riesce ad essere malinconica, triste, arrabbiata e dolce. Ogni tanto spalanca gli occhi e ci fa un po’ paura (siamo in seconda fila) e quando una turista le fa una foto con il flash, Ms. Brown prima le lancia uno sguardo che incenerirebbe l’intera Amazzonia, poi si gira mostrando le spalle al pubblico, si inchina e indicando il suo lato B dice “fotografami questo, stronza! ”. Il pubblico è in delirio.

Una partecipante è molto affascinata da Sweet Georgia, e inizia a parlare con un gentile ragazzo dall’aspetto delicato, che si dichiara fan scatenato della cantante e che è venuto in città da non si sa quale sperduto paesino del Midwest apposta per lei.
Tra una chiacchiera e l’altra lui dice anche che ha un CD della cantante e che se gli paga una birra glielo regala. Affare fatto.
Nel frattempo Georgia sta cantando la sua ultima canzone e scende dal palco per ricevere il tributo di lodi da parte dei suoi fans. Quando si avvicina a noi, nota il CD sul tavolo e ci guarda con occhi assassini. La partecipante prende il coraggio a due mani e alla fine dell’esibizione va dalla sempre più truce Georgia per chiedere un autografo sul CD. Lei non solo si rifiuta senza spiegazioni di firmarlo, ma addirittura glielo sequestra. Mi avvicino e racconto a Georgia (di Sweet non aveva più niente) in che modo eravamo venuti in possesso del CD. Lei  è rimasta in silenzio, per un tempo che mi è sembrato lunghissimo. In realtà era un vulcano che stava per esplodere: chiama il biondo ragazzo che aveva dato il CD alla partecipante e lo copre di  insulti. Riesco alla fine a capire cos’è successo. Il delicato biondino, appena Georgia era entrata in sala, aveva parlato con lei  e deve averle detto parole d’affetto e ammirazione e lei riconoscente gli aveva regalato un suo CD (non ancora in commercio) e l’aveva autografato. Il CD che era sul nostro tavolo non aveva l’autografo, quindi Georgia ha capito che quello che aveva comprato la partecipante era un CD che il giovane biondo le aveva sottratto dalla borsa.

Le scene che si susseguono velocemente sono: Furious Georgia Brown che tuona imprecazioni a tutta potenza, il ragazzo che viene preso dai buttafuori, lei che urla che chiamerà la polizia, io che ordino ai miei di sparpagliarci e di raggiungere  l’uscita ostentando indifferenza (non mi pare il caso di passare la serata al commissariato della NYPD, l'ho già visto in almeno quattro serie di telefilm). Quando siamo fuori, ci avviamo rapidi a prendere la metro e sentiamo una sirena che si avvicina.
A bordo dei vagoni della linea F che ci porterà in hotel, riviviamo quei momenti e ridiamo ripensando alle espressioni di Sweet Georgia imbestialita. Usciamo dalla metro e veniamo colpiti dalla stessa brezza gelata che ci aveva castigato in cima all'Empire State Building. Questa volta riconosciamo distintamente le parole che vengono portate dal vento: è Sweet Georgia Brown che urla le sue maledizioni al ladro.

Stay tuned!

(nella foto:  espressione di Sweet Georgia Brown quando è passata tra i tavoli e ha visto il CD rubato)


giovedì 9 luglio 2015

MODELLA E CIAMBELLA



Le ultime parole famose:

"Per l’appassionante racconto sul ritorno (titolo del post “Modella e Ciambella”) non cambiate canale. Giuro che lo scriverò, prima o poi."


Il destino era in ascolto e  ha deciso di mettere ogni sorta di ostacolo sul mio cammino, impedendomi di allietarvi  con il seguito del ritorno da Milano in treno. Sono passati  quasi tre mesi, in cui  ho pescato continuamente la carta "imprevisti " del Monopoly  quando in realtà avrei volentieri tirato i dadi  e saltato  avanti tre caselle senza passare dal via.

Torniamo a noi: come avete passato questi mesi senza di me? Vi immagino tutti ad inviare email a  Gianloreto Carbone di "Chi l'ha visto?", vi ringrazio commossa: ho saputo che quell'invidiosa della Sciarelli non ha voluto catalogare la mia assenza dal blog come un caso di presunta scomparsa.

Comunque sono tornata, quindi ricomincio esattamente dal punto in cui mi ero interrotta.
  
Dopo una giornata particolarmente densa, in cui avevo saltato il pranzo, ho deciso di prendere un cappuccino e poi una ciambella da mangiare con calma in treno. Un peccato di gola che ogni tanto mi concedo perché appaga tantissimo i miei sensi: prima addento il fritto zuccherato e già mi sento in estasi, poi il soffice dell'impasto mi soddisfa all'infinito. Oltre all'incalcolabile numero di calorie (pari ai miliardi del debito italiano dell'anno scorso), mangiare una ciambella se fa caldo ha anche l'utilità di effettuare un scrub allo zucchero sulle labbra, che dall'estetista costerebbe e invece qui è incluso del prezzo.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Share it if you like it !