“Per quanto
viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con
noi oppure non lo troveremo”
Per anni i miei
report di viaggio hanno avuto quest’intestazione che ho sempre sentito
profondamente vicina ai miei pensieri. L’ha scritta Ralph Waldo Emerson, un
poeta e filosofo americano del XIX secolo. Era un’idealista: sosteneva
l’abolizione della schiavitù (che allora negli USA non era un’idea
popolarissima) ma era anche un viaggiatore che, durante un soggiorno in Europa, ha
iniziato a pensare ad un nuovo concetto di spiritualità.
Cosa abbiamo in
comune io e Waldo? Niente, a parte il fatto di essere del segno dei Gemelli e
la frase in oggetto (lui l’ha scritta, io l’ho fatta mia).
Secondo me quella
frase dice tutto: non troveremo mai ciò che stiamo cercando se non ci arriviamo
pronti con qualcosa che è già dentro di noi, non vedremo nulla che non sia già
nei nostri occhi.
La parentesi
filosofica finisce qui, ma potrebbe ripresentarsi.
Viaggiando per
lavoro e per passione, la domanda fondamentale che spesso mi faccio e faccio
anche agli altri è “cos’è il viaggio”?
Il viaggio è solo
una sequenza di momenti cronologici (preparazione, partenza, transito, arrivo e
ritorno)?
Esiste il modo di
imparare a viaggiare? E viaggiare può essere un’arte?
Le domande alla
Marzullo alle quali mi darò risposta da sola sono finite, metto le cuffie come
i concorrenti di Mike Bongiorno e rispondo:
Risposta numero uno:
Il viaggio è il migliore maestro di vita del mondo.
Risposta numero due:
No, c’è dell’altro.
Risposta numero tre:
Secondo me sì, si può imparare a viaggiare.
Risposta numero
quattro: Viaggiare è un’arte.
Tolgo le cuffie,
sistemo i capelli e spiego perché.
- Cos’è il viaggio? il viaggio è il migliore maestro di vita del mondo.
E’ un insegnante
molto severo, che se non hai studiato ti mette alla prova lo stesso e spesso
non c’è modo di evitare o aggirare l’ostacolo, ma solo di affrontarlo. Le
convinzioni e le idee vengono testate e se sono sbagliate si infrangono,
talvolta anche dolorosamente. La misura del mondo non è più quella a cui la
nostra quotidianità ci ha abituati e gli orizzonti si allargano.
- Il viaggio è solo una sequenza di momenti cronologici (preparazione, partenza, transito, arrivo e ritorno)?
Alcuni sentono il
forte impulso di vagare per esplorare il mondo, detto anche Wanderlust (ad
esempio io: da una vita e non voglio smettere). Altri invece si avvicinano al
viaggio con dubbi e paure, che poi superano con l’esperienza. Viaggiare è
qualcosa di complicato, molto più complesso di organizzare un itinerario o
prenotare un volo low cost.
Se fosse una mera
successione di azioni pratiche, basterebbe seguire una lista e spuntare le voci
ad una ad una. Invece anche un viaggio perfetto in cui tutto va bene può
rivelarsi deludente. Ci si può preparare molto o poco, ma non è quello che fa
la differenza: la mente parte prima del corpo perché si crea delle aspettative.
La più sfuggente credo che sia la felicità, che viene ricercata e desiderata.
Poi si parte ed il momento del distacco è quello che è più destabilizzante,
quello dove ansie e timori escono in superficie. Andare incontro alle novità ed
ai cambiamenti non è facile. C’è poi il transito, ovvero lo spostamento, che
oggi è breve, basta salire su un aereo e si può atterrare dall’altra parte del
mondo in un paio di giorni al massimo facendo qualche scalo, quando fino al
secolo scorso ci sarebbero voluti mesi per arrivare. La destinazione è il
traguardo, il momento del confronto e della scoperta. Lì si gioca tutto e c'è poi
il ritorno in cui il cerchio si chiude e si torna al punto di partenza.
Tutto qui? Non
esiste secondo me una formula per rendere un viaggio indimenticabile, ma ci
sono due cose, solo due semplicissime banalissime cose che possiamo portare con
noi e che senza dubbio renderanno bello la nostra esperienza.
La gentilezza e l’empatia. Non mi
stancherò mai di dire quanto sia importante essere gentili all’estero con gli
altri, sia perché ai loro occhi rappresentiamo una nazione, ma perché siamo
l’evidenza che barriere e stereotipi si possono superare. L’empatia è
essenziale nei modi in cui ci si relaziona con le persone, l’abilità di
mettersi anche per un secondo nei panni negli altri è quello che rende speciale
non solo la giornata di chi incontrate, ma renderà magnifico anche il vostro
viaggio.
Io ho poi una sorta
di superstizione: mi piace aiutare gli altri in Italia perché spero che quando
sarà il mio turno all’estero ci sia qualcuno disposto ad aiutare me. Una sorta
di karma.
- Esiste il modo di imparare a viaggiare? Sì.
Si può quindi
imparare a viaggiare come si impara a guidare una macchina? Sì.
Si impara con
l’esperienza: affidandosi a chi ha viaggiato di più e poi trovando un proprio
modo personale. Nessuno ci insegna a viaggiare come ci insegna a camminare, ma
viaggiando si impara a riempire i vuoti dell’itinerario con ciò che veramente
conta: le emozioni.
E qui torniamo al
buon vecchio Waldo: se ci si porta dietro aggressività, rancore e i problemi,
come ci si può aspettare di risolverli a centinaia o migliaia di km di
distanza? E’ meglio lasciarli a casa, perché tanto saranno lì ad aspettarci al
rientro.
La persona che si è
a casa è quella che si porta in viaggio, ma è meglio partire leggeri, sia come
bagagli sia come emozioni. Ansia, preoccupazioni inquietudine, se non li si abbandona al check- in lì ritroveremo insieme ai bagagli sul nastro
trasportatore all’aeroporto di arrivo, se possibile ancora più pesanti di
prima.
- Viaggiare può essere un’arte? Sì.
Per me è
un’espressione unica del proprio essere. Proprio come si impara a disegnare o a
scrivere o a suonare, poi è la creatività personale a dipingere un quadro, a
scrivere un testo o a comporre una melodia. Anche se gli strumenti sono gli
stessi (matita o pennelli, penna o computer, tasti o percussioni) è l’artista
che in noi che fa la differenza.
Anche se sono
un’ottimista per natura, purtroppo penso che l’arte di viaggiare sia perduta, o
quasi. Si è smarrita. Viaggiare è diventato, in generale, un prodotto, una
merce. Negli ultimi anni mi sembra che ci si dimentichi sempre più spesso di
scoprire un nuovo mondo, anche quando ce l’abbiamo sotto gli occhi.
Onestamente: quanti di voi stampano o rivedono tutti i video fatti durante le
vacanze? Quasi nessuno, oppure non è la stessa cosa osservare con i propri
occhi o vedere qualcosa attraverso il video di un telefono o una macchina
fotografica. Mi sembra che si sia sempre meno aperti con le persone, forse
perché siamo sempre più fortemente legati, tramite la tecnologia, a casa. Una
volta si era irraggiungibili all’estero, ora invece tramite roaming e app sul
telefono, non più. Ogni esperienza è fatta e condivisa, cotta e mangiata, anzi
talvolta è mangiata (cioè condivisa) ancor prima di essere cotta ( è studiata,
ma in realtà è finta perché non è stata davvero vissuta).
Io confesso sono una
vittima del WIFI (di cui ammetto di essere fan all’estero: dal punto di vista
organizzativo è una benedizione) ma il lato oscuro della connessione è non
essere mai davvero dove sei, è un filo che ti lega a casa.
Concludendo, non so
se sono “un’artista”, so che mi impegno moltissimo a far sì che tutto vada bene
e che quando c’è qualche difficoltà sia superata, questo per il mio ruolo di
tour leader.