martedì 31 marzo 2015

FA' LA COSA GIUSTA



C'è una persona che spesso mi sorprende positivamente per le cose che fa e altre volte la strozzerei amabilmente.

La conosco da anni, una vita direi, e siamo sempre andate d'accordo. Ha pregi di qualità e difetti duri a morire, ma in fondo i primi superano i secondi  (se non in numero, almeno in valore).

Quello che mi piace di lei è che nelle situazioni più complicate, alla fine ha il sangue freddo che la fa uscire indenne. 

Come i più acuti tra voi avranno capito, quella  persona sono io: se c'è una qualità su cui faccio affidamento , è  la certezza che qualunque cosa mi capiti, alla fine la strada per uscirne la troverò in un modo o nell'altro. Più la situazione è difficile, più ho la certezza che non farò errori, anzi, farò l'unica cosa giusta da fare.

Conto molto su questo e  anche sul fattore "botta di fortuna", che talvolta è latitante. Purtroppo questo sesto senso latita in situazioni ordinarie, tipo ogni volta che scelgo una coda in posta o in banca, scelgo sempre quella sbagliata.

Io, nei momenti difficili della mia vita, ripenso a quella volta in Cina, in cui ho fatto la cosa giusta, nonostante la situazione non fosse delle più facili.


Le Olimpiadi di Pechino 2008  erano in preparazione (e per dire,  i lavori erano più avanti di quelli dell'Expo) e tutto il paese era in fermento.

Il viaggio è stato  intenso, ma indimenticabile.  La Città Proibita, Pingyao e le sue case con le lanterne rosse,   Xian e guerrieri di terracotta, Xiahe e il monastero tibetano di Labrang, le terrazze di riso di Longji e le donne di etnia  Yao che non  tagliano i capelli a partire  dai 16 anni,  Yangshuo e le sue montagne verdi. Il viaggio si concludeva con Hong Kong, Macao e Shanghai, per una visione sul futuro: nel 2006 erano già avanti a noi,  avevano già il treno a levitazione magnetica, sospeso per aria, per andare in aeroporto, altra cose rispetto alle Frecce di colori vari che popolano i nostri binari.





A rendere ancora più intenso il viaggio, aveva contribuito il mio spirito emulativo.  In quegli anni leggevo molto Terzani e mi ero appassionata di un suo libro "Un indovino mi disse".  Ispirata dal libro, in quel viaggio ho cercato il più possibile di fare tutte le esperienze tipiche dei luoghi che ho visitato: massaggi shatzu, agopuntura, tai chi,  visita dal medico tibetano e relativa lettura del polso e ovviamente l'indovino.



Quel giorno a Yangshuo ero appunto reduce da una traumatica esperienza con  l'agopuntura (un giorno vi racconterò). Mi accingevo dunque a tornare in albergo in un rovente pomeriggio; avevo dato al gruppo mezza giornata di libertà e agognavo il  comodo letto su cui mi sarei buttata a mo'  quattro di spade,  cullata dalla brezza dell' aria condizionata a 18° .

Davanti all'ingresso dell'hotel vedo un partecipante che mi aspetta: dice che ha bisogno che lo accompagni in farmacia perché non si sente bene, lui  ci è già andato ma non è riuscito a farsi capire.  Così ci avviamo  insieme e mi racconta che da qualche giorno ha un po' di febbre e spossatezza, probabilmente dovuti allo sbalzo termico e di quota, visto che due giorni prima eravamo a Xiahe a 3000 metri con clima freddo e in quel momento eravamo a 160 metri di altitudine, con un caldo feroce unito ad un'umidità assassina. Aggiunge anche che in realtà non è andato in farmacia, ma direttamente in ospedale.

La situazione iniziava a farsi un po' preoccupante, ma continuavo ad essere fiduciosa. Entriamo in un ospedale (privato) e subito veniamo portati dal dottore che lo aveva visitato che mi spiega in maniera dettagliata la sua diagnosi e la cura che intende somministrare al mio partecipante. Tutto ciò in cinese.

Determinata a capirci qualcosa, mi fiondo  in tutte le stanze cercando qualcuno che potesse fare da traduttore chiedendo "Is there anyone who can speak English here?”. Una ragazzina con flebo alza il braccio (quello senza flebo) e mi risponde "Yes". Ritorno dal dottore, lo porto al cospetto dell'adolescente con flebo e lui le spiega  in maniera dettagliata la sua diagnosi e la cura che intende somministrare al malato italiano. La ragazzina mi sorride e in inglese mi dice "ho capito cosa ha detto il medico ma non sono capace a tradurlo. So solo dirti SERIOUS DISEASE  (malattia grave)" .

Il malato mi guarda speranzoso e mi chiede "che cosa ho Katia? ".



Quello è stato il momento di cui accennavo prima: la situazione era seria, c'era una persona che stava male, eravamo in un paese lontano in cui era difficile comunicare e l’unica cosa che sapevo era “malattia grave”, io ero bucherellata a volontà dopo la dannata seduta di agopuntura, la temperatura era attorno ai 40°, l'umidità era tenera come il tonno e si tagliava con un grissino. Le ultime cose non contribuivano alla mia lucidità sulle decisioni da prendere.  

Se avessi scelto di chiamare in quel momento l’assicurazione, avrei dovuto tornare in albergo, prendere il numero dell'assicurazione, chiamare in Italia, aspettare un feedback, cercare l'ospedale indicato, andarci, fare  visitare il malato e aspettare e la cura. Ipotesi scartata per tre motivi: 1. Troppo tempo. 2. Non avevo nemmeno una diagnosi.  3. Ero già in ospedale.



Quindi che fare? Ed ecco che in quel momento mentre il partecipante mi guardava come se fossi l'oracolo da cui dipendeva la sua salute (ed in parte in quel momento era vero) ho  fatto la cosa giusta: ho chiamato l'unica persona che conoscevo che parlasse cinese e inglese: una ex contadina  di nome Julie, che ci aveva fatto da guida per la gita in bici il giorno prima, chiedendole di aiutarmi.

Santa Julie è arrivata dopo poco, in sella alla sua bici, da cui è scesa come un cavaliere medievale scende da cavallo per salvare la sua dama. Ha parlato con il dottore, ci ha presi per braccio e ci ha portati in un ospedale pubblico cinese, dove il partecipante è stato curato con abbondanti flebo  in day hospital (fino ad una dozzina al giorno), con comodo rientro in hotel per la sera (il letto dell'ospedale era una tavola di legno con una coperta doppia sopra, non ho avuto il cuore di farlo dormire lì per tre giorni). In poco più di mezz'ora la vicenda era chiusa. Tornata in albergo, ho avvisato l'assicurazione, ho mandato i documenti del ricovero via fax e dall'Italia mi hanno detto di tenerli informati e mandare il referto dopo la dimissione.



Ho domandato a Julie perché avevamo cambiato ospedale e lei mi ha spiegato che il dottore, già pregustando i congrui rimborsi assicurativi in valuta pregiata americana, voleva non solo far ricoverare il malato, ma voleva piantare una flebo nelle vene pure a me, presumibilmente per svariati giorni, in quanto pensava fossi sua moglie e contagiata dalla febbre. Insomma ci voleva marciare. Ecco perché ci aveva preso per mano per andare nel più essenziale ospedale pubblico cinese.

C’è da dire che l’arrivo nel nuovo ospedale è stato abbastanza traumatico: l’ingresso del pronto soccorso era deserto, c’era solo un ragazzino con una divisa da basket rossa, di almeno 5 taglie più grande, che tirava al canestro. Su una panca vicino a lui, uno straccio bianco , forse un lenzuolo. Mentre Julie entra a cercare un medico, io chiedo “Is there a doctor here?” e il ragazzino: “Toctor? I am the toctor!”. Srotola lo straccio bianco, che in realtà è un camice, ed entra a parlare con Julie.

Comunque il minicestista cinese prestato alla medicina si è rivelato scrupoloso: prima ha visitato il malato e poi  ha fatto l’anamnesi al paziente con le traduzioni di Julie dal cinese all’inglese e mie dall’italiano all’inglese.



La parabola del malato italiano in Cina si chiude così: dopo tre giorni, egli si alzò dal letto, disse "sono guarito" e mai più ebbe un raffreddore nei successivi cinque anni.  Visse felice e contento, si innamorò, viaggiò di nuovo (con me in Russia) finché ci siamo persi di vista. Da parte mia, ogni tanto penso "se ho fatto la cosa giusta in Cina, posso farcela sempre". 
Tranne quando devo scegliere una coda, ovvio.

Alla prossima! 

(nella foto: infermiere cinesi che portano la cena al malato)







6 commenti:

  1. Alla prima riga mi son detto: "toh ha scritto di me", ma alla seconda mi è stato chiaro che sbagliavo.
    Brillante come d'abitudine, brava K!

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  2. Fantastica :-) Voglio viaggiare solo con te!

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    1. L'hai scritto, ho salvato la schermata e ormai non ti potrai più tirare indietro !! :))))

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