C'è
una persona che spesso mi sorprende positivamente per le cose che fa e altre
volte la strozzerei amabilmente.
La
conosco da anni, una vita direi, e siamo sempre andate d'accordo. Ha pregi di
qualità e difetti duri a morire, ma in fondo i primi superano i secondi (se non in numero, almeno in valore).
Quello
che mi piace di lei è che nelle situazioni più complicate, alla fine ha il sangue freddo che
la fa uscire indenne.
Come
i più acuti tra voi avranno capito, quella
persona sono io: se c'è una qualità su cui faccio affidamento , è la certezza che qualunque cosa mi capiti, alla
fine la strada per uscirne la troverò in un modo o nell'altro. Più la situazione è difficile, più ho la certezza che non farò errori, anzi, farò l'unica cosa giusta da fare.
Conto
molto su questo e anche sul fattore
"botta di fortuna", che
talvolta è latitante. Purtroppo questo sesto senso latita in situazioni ordinarie, tipo ogni volta che scelgo una coda in posta o in banca, scelgo sempre quella sbagliata.
Io, nei momenti difficili della mia vita, ripenso a quella volta in Cina, in cui ho fatto la cosa giusta, nonostante la situazione non fosse delle più facili.
Io, nei momenti difficili della mia vita, ripenso a quella volta in Cina, in cui ho fatto la cosa giusta, nonostante la situazione non fosse delle più facili.
Le
Olimpiadi di Pechino 2008 erano in preparazione
(e per dire, i lavori erano più avanti
di quelli dell'Expo) e tutto il paese era in fermento.
Il viaggio è stato intenso, ma indimenticabile. La Città Proibita, Pingyao e le sue case con
le lanterne rosse, Xian e guerrieri di
terracotta, Xiahe e il monastero tibetano di Labrang, le terrazze di riso di
Longji e le donne di etnia Yao che
non tagliano i capelli a partire dai 16 anni,
Yangshuo e le sue montagne verdi. Il viaggio si concludeva con Hong
Kong, Macao e Shanghai, per una visione sul futuro: nel 2006 erano già avanti a
noi, avevano già il treno a levitazione
magnetica, sospeso per aria, per andare in aeroporto, altra cose rispetto alle
Frecce di colori vari che popolano i nostri binari.
A
rendere ancora più intenso il viaggio, aveva contribuito il mio spirito
emulativo. In quegli anni leggevo molto
Terzani e mi ero appassionata di un suo libro "Un indovino mi disse". Ispirata dal
libro, in quel viaggio ho cercato il più possibile di fare tutte le esperienze
tipiche dei luoghi che ho visitato: massaggi shatzu, agopuntura, tai chi, visita dal medico tibetano e relativa lettura
del polso e ovviamente l'indovino.
Quel
giorno a Yangshuo ero appunto reduce da una traumatica esperienza con l'agopuntura (un giorno vi racconterò). Mi accingevo dunque a tornare in albergo in un
rovente pomeriggio; avevo dato al gruppo mezza giornata di libertà e agognavo
il comodo letto su cui mi sarei buttata
a mo' quattro di spade, cullata dalla brezza dell' aria condizionata
a 18° .
Davanti
all'ingresso dell'hotel vedo un partecipante che mi aspetta: dice che ha bisogno che lo accompagni in
farmacia perché non si sente bene, lui
ci è già andato ma non è riuscito a farsi capire. Così ci avviamo insieme e mi racconta che da qualche giorno
ha un po' di febbre e spossatezza,
probabilmente dovuti allo sbalzo termico e di quota, visto che due giorni prima eravamo a Xiahe a
3000 metri con clima freddo e in quel momento eravamo a 160 metri di
altitudine, con un caldo feroce unito ad un'umidità assassina. Aggiunge anche
che in realtà non è andato in farmacia, ma direttamente in ospedale.
La
situazione iniziava a farsi un po' preoccupante, ma continuavo ad essere fiduciosa.
Entriamo in un ospedale (privato) e subito veniamo portati dal dottore che lo
aveva visitato che mi spiega in maniera dettagliata la sua diagnosi e la cura
che intende somministrare al mio partecipante. Tutto ciò in cinese.
Determinata
a capirci qualcosa, mi fiondo in tutte
le stanze cercando qualcuno che potesse fare da traduttore chiedendo "Is there anyone who can speak English here?”.
Una ragazzina con flebo alza il braccio (quello senza flebo) e mi
risponde "Yes". Ritorno dal dottore, lo porto al cospetto
dell'adolescente con flebo e lui le spiega
in maniera dettagliata la sua diagnosi e la cura che intende
somministrare al malato italiano. La ragazzina mi sorride e in inglese mi dice
"ho capito cosa ha detto il medico ma non sono capace a tradurlo. So solo
dirti SERIOUS DISEASE (malattia
grave)" .
Il malato mi guarda
speranzoso e mi chiede "che cosa ho Katia? ".
Quello
è stato il momento di cui accennavo prima: la situazione era seria, c'era una
persona che stava male, eravamo in un paese lontano in cui era difficile comunicare
e l’unica cosa che sapevo era “malattia grave”, io ero bucherellata a volontà
dopo la dannata seduta di agopuntura, la temperatura era attorno ai 40°,
l'umidità era tenera come il tonno e si tagliava con un grissino. Le ultime
cose non contribuivano alla mia lucidità sulle decisioni da prendere.
Se
avessi scelto di chiamare in quel momento l’assicurazione, avrei dovuto tornare
in albergo, prendere il numero dell'assicurazione, chiamare in Italia,
aspettare un feedback, cercare l'ospedale indicato, andarci, fare visitare il malato e aspettare e la cura. Ipotesi
scartata per tre motivi: 1. Troppo tempo. 2. Non avevo nemmeno una diagnosi. 3. Ero già in ospedale.
Quindi
che fare? Ed ecco che in quel momento mentre il partecipante mi guardava come
se fossi l'oracolo da cui dipendeva la sua salute (ed in parte in quel momento
era vero) ho fatto la cosa giusta: ho chiamato l'unica
persona che conoscevo che parlasse cinese e inglese: una ex contadina di nome Julie, che ci aveva fatto da guida per
la gita in bici il giorno prima, chiedendole di aiutarmi.
Santa
Julie è arrivata dopo poco, in sella alla sua bici, da cui è scesa come un cavaliere medievale scende da cavallo per salvare la sua dama.
Ha parlato con il dottore, ci ha presi
per braccio e ci ha portati in un ospedale pubblico cinese, dove il
partecipante è stato curato con abbondanti flebo in day hospital (fino ad una dozzina
al giorno), con comodo rientro in hotel per la sera (il letto dell'ospedale era una tavola di legno con una
coperta doppia sopra, non ho avuto il cuore di farlo dormire lì per tre
giorni). In poco più di mezz'ora la vicenda era chiusa. Tornata in albergo, ho avvisato l'assicurazione, ho mandato i documenti del ricovero via fax e dall'Italia mi hanno detto di tenerli informati e mandare il referto dopo la dimissione.
Ho domandato a Julie perché avevamo cambiato ospedale e lei mi ha spiegato che il dottore, già pregustando i congrui rimborsi assicurativi
in valuta pregiata americana, voleva non solo far ricoverare il malato, ma
voleva piantare una flebo nelle vene
pure a me, presumibilmente per svariati giorni, in quanto pensava fossi sua
moglie e contagiata dalla febbre. Insomma ci voleva marciare. Ecco perché ci
aveva preso per mano
per andare nel più essenziale ospedale pubblico cinese.
C’è
da dire che l’arrivo nel nuovo ospedale è stato abbastanza traumatico: l’ingresso del pronto soccorso era deserto, c’era solo
un ragazzino con una divisa da basket rossa, di almeno 5 taglie più grande, che
tirava al canestro. Su una panca vicino a lui, uno straccio bianco , forse un
lenzuolo. Mentre Julie entra a cercare un medico, io chiedo “Is there a doctor
here?” e il ragazzino: “Toctor? I am the toctor!”. Srotola lo straccio bianco,
che in realtà è un camice, ed entra a parlare con Julie.
Comunque
il minicestista cinese prestato alla medicina si è rivelato scrupoloso: prima
ha visitato il malato e poi ha fatto l’anamnesi
al paziente con le traduzioni di Julie dal cinese all’inglese e mie dall’italiano
all’inglese.
La
parabola del malato italiano in Cina si chiude così: dopo tre giorni, egli si
alzò dal letto, disse "sono guarito" e mai più ebbe un raffreddore
nei successivi cinque anni. Visse felice
e contento, si innamorò, viaggiò di nuovo (con me in Russia) finché ci siamo persi
di vista. Da parte mia, ogni tanto penso "se ho fatto la cosa giusta in Cina, posso farcela sempre".
Tranne quando devo scegliere una coda, ovvio.
Alla prossima!
(nella foto: infermiere cinesi che portano la cena al malato)
applausi!!!!
RispondiEliminagrazie Annissima !
RispondiEliminaAlla prima riga mi son detto: "toh ha scritto di me", ma alla seconda mi è stato chiaro che sbagliavo.
RispondiEliminaBrillante come d'abitudine, brava K!
Grazie ! :)
EliminaFantastica :-) Voglio viaggiare solo con te!
RispondiEliminaL'hai scritto, ho salvato la schermata e ormai non ti potrai più tirare indietro !! :))))
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